IL SILENZIO
… “Voglio solo che tu riconosca profondamente la presenza del dubbio e il fatto che lo reprimi. Perché lo reprimi? Solo perché non vuoi rischiare una ricerca. La ricerca è un rischio. Significa inoltrarsi nell’ignoto. Nessuno può dire cosa accadrà. Ci si lascia alle spalle tutto ciò che è familiare, che offre una comodità, e ci si inoltra nell’ignoto, senza sapere neppure se esiste qualcosa sull’altra sponda, addirittura senza sapere se l’altra sponda esista oppure no.
Per questo motivo la gente si aggrappa al teismo, oppure se sono persone più salde, se sono intellettuali, all’ateismo. Ma entrambi, teisti e atei, fuggono dal dubbio, e così facendo fuggono dalla ricerca, dall’indagine.
Cos’è il dubbio? Un semplice punto interrogativo interiore. Non ti è nemico. Ti prepara alla ricerca. Il dubbio è tuo amico.
Ho parlato anche di una terza categoria, gli agnostici… L’agnostico non s’impegna, ed è meglio non impegnarsi così si resta svegli, si sa di non aver ancora iniziato la ricerca. Il teista ha raggiunto una conclusione, così pure l’ateo… l’agnostico non ha neppure iniziato la ricerca, è più vicino a me. Il teista è il più lontano, l’ateo un po’ meno lontano, l’agnostico è vicinissimo. Ma si può fermare a quel
livello ed affermare che non è necessario intraprendere una ricerca. Ed è ciò che dicono gli agnostici. Di fronte ad un interrogativo supremo, puoi stare in silenzio. Ma il silenzio di un agnostico è assolutamente diverso da quello di uno gnostico. E a ragion veduta non ho incluso lo gnostico in quelle tre categorie. La parola <<agnostico>> deriva da <<gnosi>> ed indica una persona che non è sicura né in un senso né nell’altro. Chi è dunque lo gnostico? Uno che sa. Questo è il significato della parola <<gnostico>>: colui che sa.
L’agnostico sta zitto perché non sa cosa è giusto e cos’è sbagliato. A sua volta lo gnostico sta zitto perché è giunto a sperimentare una realtà inesprimibile.
Io sono uno gnostico. E vorrei che tutti voi foste degli gnostici, giungeste cioè ad un livello di esperienza dove accadono cose al di là delle parole, dove il linguaggio viene lasciato alle spalle, una distanza misurabile in anni luce, là dove non è affatto possibile concettualizzare ciò che sperimenti.
Non puoi dire: <<Dio esiste>>. Né puoi dire: <<Dio non esiste>>. Né tantomeno puoi dire: <<Non posso parlare di Dio>>. Puoi solo stare in silenzio. E quanti saranno in grado di comprendere il silenzio capiranno anche la risposta. Puoi aiutare la gente – ed è ciò che possono fare gli gnostici – puoi aiutarla a raggiungere quel silenzio.
Chiamala sfera meditativa, consapevolezza, risveglio, ascensione, illuminazione, regno di Dio, paradiso, nirvana, moksa*, kaivalya**…; questi sono solo nomi. La qualità essenziale è l’assoluto silenzio, senza che nulla in te si agiti, senza il minimo fruscio interiore. In quella dimensione esiste l’essenza divina…
Lo gnostico è un vero uomo religioso.
La preghiera è un sottoprodotto, un derivato del teismo. Inizi col credere in Dio, poi è ovvio che diventa necessario un rapporto tra te e lui: questa è la preghiera. Inizi a blandirlo, un motivo esiste: con la preghiera gli chiedi qualcosa. Non è un atto d’Amore ma un semplice affare! …
La preghiera non è altro che uno sforzo umano per persuadere Dio a far andare le cose come vuoi tu. Ma è pura e semplice immaginazione da parte tua. Come prima cosa non conosci Dio, né sai cosa piace o non piace a Lui. Non sai se esiste o no, ma preghi: è una situazione ben misera, che però ha largo seguito in tutto il mondo.
Io mi oppongo alla preghiera perché è essenzialmente un mercanteggiare, è un mettersi a trattare con Dio, sedurlo con la speranza di blandire il suo ego: <<Tu sei grande, il Compassionevole, puoi fare tutto ciò che desideri>>. Parole dette solo perché si vuole qualcosa. Sono parole che sottintendono un motivo egoistico, senza il quale non pregheresti affatto…
Tolta la preghiera, un ponte verso l’esterno, se vuoi conoscere Dio non puoi far altro che meditare. Nella meditazione ricerchi all’interno e ricerchi ciò che lì esiste: <<Chi sono? Cos’è questa energia vitale? Cos’è questa consapevolezza dentro di me?>> Solo arrivando a conoscere questa consapevolezza, questa vita che è in me, conoscerò
la vita universale di cui sono parte”…
Fonte: Osho – “La bibbia di Rajneesh”. © 1988/2006 RCS Libri S.p.A. – IX ed. Tascabili Bompiani settembre 2006 (pag. 173-175). © 1985 Osho International Foundation.
*Moksa (pag. 267). I jainisti usano il termine moksa. Significa libertà assoluta, suprema, libertà da ogni catena. Ed il legame di tutti è l’ego, gli altri sono parti dell’ego:
avidità, lussuria, ambizione, rabbia. Tutto ciò che nelle altre religioni è considerato un peccato, nel jainismo è considerato solo un legame, una catena, un impedimento. Ma la radice, la radice principale dell’intero albero della tua schiavitù è l’ego. Basta tagliare la radice primaria e tutte le altre moriranno di conseguenza. Non preoccuparti di tagliare le radici minori, i rami le foglie, perché ricresceranno. Taglia la radice primaria e l’albero morirà. Quando tutti i tuoi legami cadono, cosa resta? Un’esistenza libera da catene, la libertà.
**Kaivalya. Patanjali, il fondatore dello yoga, ha un suo nome. La chiama kaivalya. Significa “assoluta solitudine, laddove l’altro non è più un bisogno”.
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